Sono stati anni di distacco dalle convenzioni legate alla liturgia dell’assaggio. La tecnica esatta della degustazione analitica mi è parsa con il tempo poco adatta a interpretare l’amplificazione gustativa che ha arricchito il vino di espressioni originali e in discontinuità con tutta l’impalcatura creata da un’enologia protocollare e talmente centrata sul mercato di riferimento da trascurare il sapore del vino. Proprio l’esercizio fondato dai grandi enologi del passato risulta manchevole nel comprendere quei vini ispirati a un ritorno al fare artigiano. Perché di questo si tratta. La lenta riforma del gusto del vino è stata intrapresa da una generazione di produttori che ha sottratto tecnologie invadenti per ritrovare espressività e originalità dentro il bicchiere. Certo vi sono stati e vi sono errori di prospettiva ed esecuzione, vi è approssimazione e qualche furberia, sicuro l’industria ha ripetuto i più vendibili processi creativi; ciò che era controcultura è diventato conforme. È fuori di dubbio però che tutto ciò abbia amplificato le potenzialità espressive dei vini spezzando le rigide categorie fissate dai tecnici e invaso, per rimanere, lo scenario del vino contemporaneo. Liberare il vino ha significato rovesciare alcune gerarchie di valore che ormai sembravano acquisite. La qualità enologica ha preso le distanze dall’ipertrofico tecnicismo di cantina per articolare in termini di complessità le categorie di giudizio aggiungendo elementi fondamentali come per esempio, ma non solo, cura della vita del suolo, la qualità della viticoltura praticata o il valore inestimabile di vecchi vigneti, fattori quest’ultimi totalmente trascurati dall’enologia di impostazione classica. Allargare lo sguardo ha significato ammettere una viticoltura fuori dall’enologia condivisa dal mercato per approdare nei margini dei territori consunti dal successo commerciale e omologati su modelli ripetuti allo sfinimento per approdare in uno scenario viticolo capace di lambire il senso antropologico e culturale del lavorare la vigna. Ritengo che oggi la qualità di un vino si sia arricchita di molti elementi originali. È su questa materia originale che l’assaggio conforme non trova punti di riferimento perché troppo focalizzato sull’equilibrio enologico e poco sull’espressione tattile del liquido, punto di congiunzione tra materia prima, trasformazione alcolica e affinamento. Partire dalla consistenza dunque risulta centrale nella capacità di afferrare il senso del vino. Ho pensato quindi di ragionare in termini di dimensioni.
Dimensione del vino
Bere vino significa stimolare corpo e pensieri. Il vino nel suo percorso sollecita la bocca attraverso plurime dimensioni. Ho individuato quindi quattro aree specifiche dell’assaggio. Dimensione tattile, dimensione acida, dimensione aromatica, dimensione dinamica.
Dimensione tattile
L’aspetto tattile del vino è legato alla qualità e alla proporzione dei suoi costituenti. Essendo un liquido a pH acido, è proprio intorno alla freschezza acida generatrice di succosità gustativa che la dimensione tattile modula la propria intensità e armonia. Ecco che in base alle quantità e “disposizione” dei componenti, quali tannini, parti alcoliche e gliceriche più quelle minerali, possiamo avere svariate aggettivazioni degli stimoli gustativi.
Tannini
Il tannino, composto fenolico ereditato dalla buccia dell’acino e dai semi, è un elemento tattile fondamentale che dona astringenza e fissa il sapore in bocca. Inviso, per le sue caratteristiche di durezza, a una certa enologia è invece elemento distintivo della qualità originale dell’uva. Vera e propria parte gastronomica del vino ha diverse gradazioni di espressione che possono dipendere alla tipologia di uva impiegata, dall’estrazione in fase di vinificazione e dall’apporto del tannino estratto dal legno. Chi beve vino apprezza il carattere vigoroso di questa sensazione comune a vini poco elaborati in cantina. Naturalmente un eccesso di tannino verde, conseguenza di uva poco matura o eccessiva abbondanza di legno, non contribuisce all’armonia.
Alcolicità e derivati
Altro aspetto della dimensione tattile è l’effetto emolliente dell’alcol e dei suoi composti. L’alcol, come brillantemente scritto da uno dei padri dell’enologia moderna Emile Peynaud, è l’eccipiente dei composti aromatici che così tanta importanza rivestono per la degustazione classica. La sua presenza è però fondamentale anche per donare al vino un carattere generale di morbidezza. Proprio per tali peculiarità l’enologia ha sempre puntato su potenti estrazioni alcoliche salvo poi ricredersi in questi ultimi anni a causa della perentoria affermazione dei vini leggiadri. Per i vini dei contadini o quelli sfusi il grado alcolico è sempre stato motivo di vanto. Ai fini di una bevuta gratificante l’alcol non deve essere eccessivo o comunque deve essere integrato dalle altre dimensioni.
Dimensione acida
Come detto l’“ambiente” acido è il paesaggio gustativo che comprende l’esperienza della degustazione. L’acidità, infatti, oltre a garantire la longevità del liquido ne costituisce la spina dorsale come vedremo meglio nel quadro della dimensione dinamica. La freschezza acida ha, più o meno, seguito la vicenda del tannino. Nascosta per anni è oggi invece, soprattutto nel caso di certi vini bianchi, uno degli elementi distintivi della qualità espressiva. A me piacciono anche rossi dotati di una certa acidità volatile che ne rende vibrante l’espressione aromatica e connota solitamente un sorso trascinante.
Dimensione aromatica
Attraverso la via diretta e quella indiretta (retronasale) i profumi inducono sia al piacere di bere sia alla valutazione dell’integrità attraverso il senso dell’allarme preventivo. Le tante funzioni del naso spiegano l’interesse privilegiato per la parte aromatica nell’applicazione delle conoscenze enologiche alla base dell’integralismo tecnico diffuso da esse nelle varie scuole di degustazione e tale da condizionare l’originalità produttiva delle espressioni odorose. Per me l’olfatto deve scaturire dal sapore del vino e non può essere separato dalla materia.
Aromi varietali e giovanili
Gli aromi varietali e giovanili derivano dalle uve, dalla spremitura e dalla fermentazione. Sono legati alla freschezza floreale, fruttata o speziata. Mi pare che per ognuna di queste famiglie possano essere trovati tantissimi riferimenti tra cui scegliere nella vasta letteratura enologica e dal proprio bagaglio di esperienze odorose.
Aromi di affinamento
Gli aromi di affinamento si sviluppano dalla permanenza del vino nei contenitori adottati per l’evoluzione. Spesso questi profumi avvolgono gli odori varietali a volte rendendo il profilo aromatico complesso e piacevole altre rendendolo banale e monocorde.
Dimensione dinamica
L’ultima dimensione è quella dinamica. È una fase cardine della degustazione in cui le dimensioni tattili, acide e aromatiche intrecciano, nel percorso gustativo complessivo, i numerosi ricettori del nostro corpo, stimolando reazioni fisiche, cognitive ed emozionali. La capacità del vino di percorrere il palato in scioltezza, dispensando succo, sapore e aromi, è ormai un connotato qualitativo consolidato che ha sorpassato i vini caricaturali di soltanto un decennio fa. La dimensione dinamica focalizza l’attenzione sullo slancio gustativo del vino e sulla capacità di assolvere il compito della leggerezza senza perdere complessità: acclarata dote, quest’ultima, dei grandi vini. In virtù delle molteplici stimolazioni di cui è responsabile, il dinamismo del vino ispira giudizi organici e articolati, il che permette di poter definire un lessico evocativo, ampio e non confinato negli stretti parametri analitici. La dinamica mette in gioco diversi stimoli. Un vino può avere tannini spigolosi ma regalare una freschezza succosa tale da donare una generale armonia come ad esempio un ottimo Chianti Classico. Un Barolo può risultare austero nella sua fase giovanile ma l’estrema finezza delle dimensione tattile insieme a quella impareggiabile aromatica formano un’armonia in divenire che si fissa nella memoria. La dinamica quindi deve essere intesa in senso pluridimensionale come una sorta di impressione generale e prospettica del vino. L’ambiente dinamico quindi si caratterizza per un’interferenza di sensazioni che possiamo a fatica schematizzare in una sorta di movimento al rallentatore. Avremo quindi un ingresso (attacco), una progressione e un’eredità.
Trovare un metodo d’assaggio che facesse coincidere sapore originale e caratura dell’intervento umano è stato l’obiettivo di molti anni del mio lavoro. Come recentemente sostenuto dallo chef italiano Paolo Lopriore a proposito della sua idea di cucina; la ricerca estetica nella ristorazione ha trascurato il centro del sapore; la tecnica ha coperto l’alimento. Nel vino, per me, è accaduto lo stesso salvo poi ritrovare nella cantina di qualche “mattarello” l’esaltante ricongiunzione storica. Afferrare questa luminosa materia grezza significa educarsi al vino per una propedeutica necessario a sviluppare una consapevolezza gustativa in grado di assimilare naturalmente, senza preconcetti, i grandi vini di terroir.
Fabio i miei complimenti Un capolavoro!! Grazieeee
Che sintesi!