L’ultima assemblea dei soci del Consorzio del Prosecco Superiore di Conegliano e Valdobbiadene, di qualche giorno fa, ha evidenziato le contraddizioni di un’area viticola in cui convivono limitati versanti d’eccellenza e irrefrenabili appetiti industriali. Il rinnovo del Consiglio d’amministrazione (Cda) era all’ordine del giorno ma, sulla proposta non ben precisata di un socio, si è deciso con una votazione improvvisata di rimandare tutto a giugno. Secondo Tommaso Razzolini, consigliere di Fratelli d’Italia, nativo di Valdobbiadene il gioco tra le parti è piuttosto chiaro: «La strategia era quella di prendere tempo per cambiare i pesi all’interno del Cda in favore delle grandi aziende – ha dichiarato all’edizione veneta del Corriere della Sera – basti pensare che il 52% dei voti è stato totalizzato da una decina di aziende in tutto, mentre la restante percentuale rappresenta più di 150 realtà viticole. Questo evidenzia come l’identità del Consorzio Docg sia composta da un mosaico di piccole aziende che rappresentano la tradizione e l’unicità di un territorio, quello dell’area storica di produzione».
Insomma, le grandi aziende hanno interesse che il Ministero dell’Agricoltura valuti la possibilità di redistribuire i pesi specifici all’interno del Cda in modo da favorire le grandi aziende con relativi vantaggi. Ma quali possono essere gli interessi delle grandi aziende in un territorio in fin dei conti così piccolo? E lo stesso politico a dircelo «Le grandi aziende sono le stesse che strizzano l’occhio al Consorzio unico tra Doc e Docg». Doc e Docg sono aree geografiche molto diverse.
La prima è una pianura infinita allargata nel 2009 dalla band(a) ZZ Top (Zaia, Zonin) fino all’inverosimile e che, nel 2020, ha raggiunto 500 milioni di bottiglie prodotte. La seconda è un’area più ristretta, diventata recentemente patrimonio Unesco, sede della vera viticoltura qualitativa del vino Prosecco e immagine da copertina più che desiderabile per chi ha l’accidentale sfortuna di avere viti in pianura unita alla provvidenziale fortuna di condividerne il nome.
Il presente del Prosecco fotografa la viticoltura italiana di oggi. Le denominazioni di origine sono un retaggio di una viticoltura che non rappresenta più la situazione attuale della nostra enografia. Oggi che la posta in gioco è smisurata gli interessi dell’industria del vino confliggono per forza di cosa con quelli dei piccoli vignaioli, imbottigliatori o meno: non è possibile una mediazione e nella frizione si erodono margini di libertà della viticoltura di qualità. La questione è legata alla terra, al luogo di origine. Fin dalla nascita le denominazioni hanno seguito una logica estensiva che doveva accontentare vari interessi che poco avevano a che fare con il valore della vigna e molto con il marchio di vendita.
Il mestiere del viticoltore in Italia era al pari di quello del contadino; senza dignità di rappresentanza.
A parte le colline delle Langhe, non vi sono denominazioni in Italia dove sia la terra ad assumere valore garantendo profitto a chi la possiede. Solo da qualche anno si è corso ai ripari bloccando gli impianti nelle zone più vocate, già alquanto allargate in tempi di vacche magre. Appena un vino o un territorio sale alla ribalta ecco che le corazzate si muovono a cercare terra da piantare a vite di fatto determinando ampie politiche di prezzo, numero di bottiglie immesse sul mercato e strategie di comunicazione commerciale con l’intento di alzare il valore complessivo del vino ma non quello delle terre acquisite a buon mercato. Impossibile invertire la tendenza dato che l’indotto economico a seguito di investimenti così importanti val bene qualche confine posto sempre più lontano dal luogo di origine.
L’industria ha creato il vino italiano e l’industria ha saputo riscattarlo dai suoi stessi disastri in seguito allo scandalo del metanolo (1986). La figura del vignaiolo, in Italia, si è affermata da poco tempo. C’è voluta una generazione di remunerativo ritorno alla terra, di affermazione dei vini territoriali e di una maggiore consapevolezza degli appassionati. Ma il sistema industriale messo su è talmente gigante che non può mollare lo spazio acquisito e intende occupare anche i margini degli artigiani che però hanno la terra buona. Le denominazioni odierne sono frutto di questa doppia origine. Negli anni vi sono stati ampi dibattiti su temi conflittuali. Qualche anno fa, per esempio, vi furono proposte di cambiare disciplinari dei vini italiani più famosi, quali Barolo e Brunello di Montalcino, solo per meri interessi di grandi aziende. A fronte di una raggiunta consapevolezza della reale qualità dei vini italiani tali proposte appaiono assurde ma è bene ricordarle perché in ogni denominazione di valore si svolge un aspro confronto tra parti che non possono tendere ai medesimi obiettivi. La soluzione è semplice: abolire le attuali denominazioni di origine per rifarle più belle.
Fonti:
https://tribunatreviso.gelocal.it/treviso/cronaca/2021/04/04/news/un-consorzio-unico-per-il-nostro-prosecco-un-danno-per-il-territorio-1.40112294,
https://corrieredelveneto.corriere.it/treviso/economia/21_aprile_15/prosecco-guerra-bollicine-pianura-contro-collina-bd5e6f56-9db6-11eb-9490-f147d6f8039c.shtml