Gli alambicchi dell’isola si erano accesi con assoluta regolarità per più di un secolo; una bussola sonora a scandire il tempo e lo spazio degli abitanti. Un giorno però, Islay, la regina delle Ebridi interne, fu svegliata dal rumore insolito e caldo di un alambicco infuocato. Un suono mai sentito proveniva da ovest; una diversa direzione presa dalla scia odorosa della torba bruciata e del malto distillato. Il gigante di rame bruciava in una nuova azienda che aveva interrotto la secolare immobilità dell’isola che più di ogni altra custodisce i sogni degli appassionati di whisky. Era il 2005 quando la distilleria Kilchoman mutò il quadro delle aziende produttrici su Islay, fermo, appunto, da 124 anni.
Quindici anni nel commercio di vino a Londra furono abbastanza per Anthony Wills. Insieme alla sua famiglia decise di trasferirsi in Scozia per intraprendere il mestiere di imbottigliatore indipendente di single malt. Appena si presentò l’occasione di poter costruire una distilleria Anthony non se la fece scappare con l’obiettivo di accendere i fuochi proprio nel 2005.
Kilchoman è nata sulla scia delle 7 distillerie (oggi 8 con Ardnahoe) che hanno determinato il successo planetario dei whisky torbati di Islay. Ardberg, Bowmore, Bruichladdich, Bunnahabain, Caol Ila, Lagavulin e Laphroaig. Aziende fondate a metà del 1800 circa protagoniste della storia della distillazione del malto d’orzo e che nel sapore decisamente iodato e affumicato dei loro whisky hanno consolidato uno stile produttivo conosciuto e apprezzato in tutto il mondo. L’intenzione di Wills non era certamente il confronto con tali monumenti che oggi hanno globalizzato, chi più chi meno, la loro anima produttiva.
La differenza che misura Kilchoman dalle altre aziende isolane risiede in una battuta espressa dal figlio di Anthony, Peter, durante una recente degustazione on-line organizzata dal pregevole team del Whisky Festival Milano in collaborazione con il sito whiskyfacile.it. «Per dare un nome ai nostri whisky guardiamo semplicemente fuori dalla finestra di casa». Il carattere famigliare è l’identità stessa dell’azienda. A fronte dei milioni di ettolitri prodotti da ogni singola realtà di Islay, Kilchomann riesce a distillare attualmente 350.000 litri di whisky, capacità che arriverà nel giro di qualche anno a circa 500.000 litri; comunque meno della metà di qualsiasi altra realtà presente sull’isola.
La quantità prodotta oggi eccede in ogni caso la misura che Anthony si era posto all’inizio. La volontà iniziale infatti era quello di gestire in autonomia tutti i passaggi della filiera produttiva dalla coltivazione dell’orzo fino all’imbottigliamento. Ciò non è stato possibile dato che su Islay non c’è fisicamente la possibilità di coltivare abbastanza orzo per ottenere malto sufficiente alla sopravvivenza economica di un progetto aziendale. Kilchoman quindi oggi coltiva il suo orzo che è destinato alla linea dei whisky 100% Islay. L’orzo non coltivato in casa viene acquistato dalla Port Ellen Maltings che fornisce quasi tutte le distillerie dell’isola a eccezione di Bruichladdich.
Il controllo totale della filiera, lo stile famigliare della produzione sono caratteristiche che calano Kilchoman in una dimensione artigianale del mondo del whisky, un aspetto questo che sembra aprire scenari futuri inediti per un comparto che ha sempre posto molta attenzione sul prodotto finito tralasciando le fasi precedenti alla costruzione dell’essenza saporita di un single malt. Per forza, aggiungo, la maggior parte delle aziende scozzesi che producono whisky fanno parte di gruppi molto grandi o addirittura di multinazionali. Eccetto la mitica Springbank, da sempre proprietà della famiglia Mitchell, in quel di Campbeltown e Kilchoman da poco tempo.
Lo stile dei malti nati in azienda è filologicamente legato alla gloriosa storia dell’isola declinata attraverso il lato gentile della torba senza mai eccedere in toni pesanti di affumicatura, privilegiando la struttura sapida che il clima di Islay assicura come vero e proprio marchio di origine. Tutta la produzione è non filtrata e priva di coloranti nel rispetto della materia prima. Le botti usate per gli affinamenti sono ex sherry ed ex bourbon.
Machir Bay e Sanaig, nomi ispirati dallo sguardo gettato oltre i vetri della finestra, sono le colonne della produzione aziendale. Si tratta di whisky no age statement, cioè spiriti privi dell’anno della distillazione. Entrambi sono deliziosi.
Il Machir Bay proviene da un blend di malti affinati in ex botti Bourbon per circa il 90 % (azienda Buffalo Trace in Kentucky) e il 10 % in ex botti di Oloroso Sherry (Bodega Miguel Martin in Jerez). Il Sanaig inverte le proporzioni dei legni di affinamento. Si tratta di due malti dall caratteristiche complementari che trovano nell’elegante nota di alga e nella bevibilità i loro tratti comuni. Più profondo e tropicale il Machir Bay, essenziale e austero il Sanaig. Sono caratteristiche gustative ricorrenti nei miei assaggi ma un pregio assoluto della produzione è la discontinuità. L’artigianalità della produzione rende cangiante l’espressione di ogni singola bottiglia. Invecchiati in media per 5 anni, la loro unicità è rivendicata con orgoglio dall’azienda che mette in ogni etichetta il singolo batch (lotto di botti) di riferimento.
La mia personale epifania è arrivata con il Kilchoman 100 % Islay Fino Sherry Matured. Uno spirito rigoroso quasi ossuto che esprime, nell’ostinata nota salina, la chiusura cocciuta ma disposta a concedere, in sprazzi fulminei, cenni balsamici memorabili; lampi di luce riflessi dall’acqua che le fitte nuvole concedono a malincuore a un vento impetuoso. Scorbutico ma necessario. Le botti di Sherry Fino paiono sottrarre volume e regalare la nudità del sapore. Un’esperienza insomma per chi desidera conoscere le infinite vie dello spirito e uno dei possibili futuri del whisky.
Scozia.. Whisky.. Storie sempre affascinanti! Ad Islay non sono mai stato, ma è una meta che ho messo nel mirino, un bel tour dell’ovest della Scozia.. quando si potrà!!
Lo sapevo che avresti scritto di whisky.
Grazie. Questa è più che competenza. Questa è passione da raccontare altrimenti esplode.
Grazie Ancora. A presto. Filippo