È bene centellinare le belle notizie di questi tempi. L’ultima che mi sono segnato è di inizio Gennaio; la Commissione Agricoltura della Camera ha espresso parere negativo su una serie di decreti che, con il pretesto dell’aggiornamento delle misura fitosanitarie e dalla riorganizzazione del sistema sementiero nazionale, avrebbero permesso la sperimentazione in campo di varietà di sementi ottenute con le «nuove tecniche di miglioramento genetico» (Nbt).

 

Le Nbt comprendono tutte le tecniche, tra le quali spiccano la cisgenesi e il genoma editing, in grado di apportare modifiche a una o più basi del genoma di una pianta. La Corte Europea di Giustizia ha ritenuto a suo tempo tali interventi equiparabili a quelli Ogm sottoponendoli alla medesima legislazione e tutelando, secondo il principio di precauzione, la biodiversità, la salute e l’ambiente.

 

Non solo, nei medesimi Decreti compariva l’abolizione del diritto alla risemina e le pratiche tipiche del sistema sementiero contadino contravvenendo all’articolo 9 del Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura, nella malcelata intenzione di favorire la privatizzazione dei semi.

 

Beh, stavolta gli è andata male anche grazie all’impegno delle tante associazioni che, a vario titolo, animano la lotta per la difesa dell’ambiente. Non è difficile intuire che la pressione costante sulle innovazioni in agricoltura è sospinta da una serie di influenze che poco hanno a che vedere con il nostro benessere, l’economia agricola e la tutela del paesaggio bensì vanno a beneficio di enormi interessi di pochi giganti privati dell’industria agrochimica.

 

La questione degli Ogm è uno dei tanti aspetti che definisce il rapporto tra l’uomo e le piante. Tale relazione si è delineata, almeno a partire dalla rivoluzione industriale, come completo asservimento delle specie vegetali alla logica produzionista affermata dalle varie forme che il modello capitalista ha assunto fino a oggi. Lo sfruttamento del mondo naturale ha condotto al collasso del sistema climatico e degli equilibri naturali. Purtroppo tale condizione non ha portato a una sorta di riconsiderazione del paradigma vincente (solo per un porzione minuscola degli umani), ma è sfociato in una serie infinita di ricerche scientifiche indirizzate a modificare gli esseri viventi non responsabili della catastrofe: le piante.

 

Occorre a questo punto non tanto incaponirsi sull’eticità o meno degli organismi modificati, tantomeno sulle tecniche impiegate, quanto invece cercare di allargare lo sguardo per ridefinire il nostro rapporto con il mondo vegetale. Perché non è necessario essere scienziati per comprendere come il primo passo verso il cambiamento positivo della nostra ecologia risieda semplicemente in una nuova forma di umanissimo rispetto verso il mondo vegetale. Un civile rispetto alla portata di tutti; scienziati e non.

 

Il rispetto necessario è quello dovuto alle piante nella loro essenza e nel loro utilizzo. Nel saper cogliere i limiti della natura e fermarsi senza travalicarli. Le società agricole hanno sempre saputo orientarsi nella natura attraverso l’osservazione e la selezione, garantendo la sopravvivenza della nostra specie senza mettere a rischio le altre. Tali relazioni creative hanno avuto una dinamica temporale cadenzata ai tempi del mondo senza quegli strappi che oggi vogliamo imporre grazie alla tecnologia.

 

La pratica di tale rispetto potrebbe realizzarsi attraverso il riconoscimento dei diritti delle piante. Siamo pronti a formulare una carta dei diritti vegetali? Per Alessandra Viola, scrittrice e divulgatrice scientifica, è necessario andare oltre l’attuale legislazione ambientale. Come la comunità umana ha voluto proteggere da qualsiasi forma discriminatoria i propri soggetti a rischio, come bambini o donne, con apposite dichiarazioni dei diritti così dovremmo fare con le specie vegetali. Il diritto alla vita, il diritto a non essere manipolate così come alla riproduzione dovrebbero essere garantiti per legge. Nel suo libro Flower Power (Einaudi), Viola propone una vera e propria Dichiarazione universale dei diritti delle piante. Tra quelli più importanti vi è il diritto alla rappresentanza legale ossia di una tutela giuridica a difesa del mondo vegetale. Non solo, la scrittrice vuol far valere il principio di precauzione, cardine del diritto ambientale, per evitare possibili sofferenze ai vegetali. Tra i più illustri difensori del mondo vegetale vi è il neurobiologo vegetale Stefano Mancuso. Nel suo libro La Nazione delle Piante (Laterza) lo scienziato postula addirittura l’idea di un vero e proprio Stato vegetale con una propria costituzione scritta in 8 punti.

 

Sono due esempi di esperti, intellettuali e scienziati, che stanno provando a formulare una nuova alleanza con le piante decostruendo la relazione antropocentrica di sottomissione che ha contraddistinto la storia contemporanea. Consapevoli di un diritto all’esistenza paritetico tra uomo e organismi vegetali potremo forse progettare un futuro nel quale sperimentazione e progresso potranno finalmente essere condotti nell’interesse del globo e della sue innumerevoli forme di vita.

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Da Pubblicato il: 12 Febbraio 2021Categorie: Blog0 Comments

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