Carlo Macchi è uno dei grandi conoscitori del vino italiano; potete seguirlo sul suo sito, winesurf, che trovate qui. Presto uscirà in libreria la sua monografia su Riecine, azienda storica del Chianti Classico collocata a Gaiole in Chianti che quest’anno compie 50 anni. Per costruire il libro o arricchirlo, Macchi ha pensato a una verticale storica dell’azienda organizzata in tre appuntamenti differiti nel tempo. Uno dei tre mi è toccato con buona dose di fortuna. La storia di Riecine è stata già egregiamente scritta qui e non mi piace scrivere cose già dette sicuramente meglio di come lo possa fare io.

 

Racconto invece dei 12 bicchieri che ho potuto assaggiare; 12 vini per la maggior parte realizzati dal signore che siede, un posto più in là, alla mia sinistra: Sean O’Callaghan enologo e responsabile dell’azienda dal 1992 al 2015. Tra me e Sean siede un maestro della narrazione enologica come Burton Anderson e niente potrebbe andare meglio di così. Sean è emozionato e si vede. Occupa la parte corta del tavolo e il suo sguardo incrocia sovente quello del suo lontano dirimpettaio, l’attuale direttore ed enologo il giovane Alessandro Campadelli.

 

Lo so, scritto così, sembra un duello; in realtà la presenza di Sean, in questa sessione di assaggio, è stata fortemente voluta da Alessandro la cui capacità è confermata dalla sicura continuità qualitativa che ha saputo mantenere nella produzione aziendale, supervisionata dallo straenologo Carlo Ferrini, a sua volta predecessore di Sean e cioè consulente in questa realtà fino al 1991. Alle spalle di Alessandro vedo gli sguardi vivi e operosi di alcuni componenti dello staff aziendale; mi paiono frementi ed emozionati. Mi convinco, ma potrei sbagliarmi, che ognuno di loro abbia un ricordo di Sean legato all’intensità della sua vita passata a Riecine che è coincisa per un certo periodo con la loro; ricordi che la formalità del momento non traduce in parole ma in luccichio di occhi allegri e pensosi. In fondo che ne sappiamo noi di Riecine? Noi seduti per caso ad assaggiare 12 annate che per chi ci guarda sono anni vissuti in tutte le stagioni?

 

Mi riscuoto da tali pensieri oziosi e inizio ad assaggiare… se pensate a una lenzuolata di sensazioni olfattive e gustative con relativo punteggio avete sbagliato a cliccare; in questo caso mi pare opportuno fissare la dinamica storica aziendale attraverso i vini realizzati. Questi bicchieri parlano e anche parecchio. La selezione di Macchi alterna dal 2001 al 2016 il Chianti Classico Riserva (2001, 2006, 2009, 2015), La Gioia (2003, 2005, 2007, 2015), Chianti Classico (2010, 2016) e Riecine di Riecine (2012, 2014). Il Sangiovese è il grande protagonista, tranne che per La Gioia, supertuscan aziendale che sicuramente fino alla 2006 aveva un saldo di merlot, salvo poi dalla 2007 optare per il sangiovese in purezza.

 

Il vino nei bicchieri definisce piuttosto bene tre periodi diversi dell’azienda. Fino alla 2009 la dicotomia Chianti Classico e La Gioia è netta. I Chianti Classico Riserva 2001, 2006 e 2009 esprimono strutture paragonabili che poggiano sia sulla freschezza acida sia su tannini generosi e di evidente presenza. Tali architetture esaltano le sfumature delle vendemmie. L’evoluzione della 2001 rivela un gusto, tanto lento a esprimersi quanto struggente e fine, così come l’armonia della 2006 di splendida estrazione tannica, più contrastata la 2009 dove il frutto integro del succo chiude su un tannino troppo duro che frena il sorso. La Gioia invece concentra la sua espressione su un centro bocca pieno di polpa la cui dinamica gustativa è viscosa quasi priva di durezze territoriali. Spicca la 2003 con un equilibrio magistrale considerata la vendemmia torrida. Entrambi sono vini didascalici per quegli anni, filologicamente perfetti per sottolineare la profonda appartenenza del Chianti Classico e l’apertura verso i mercati internazionali con La Gioia.

 

È con i tre vini successivi che l’impostazione piuttosto ortodossa dei vini aziendali viene meno per esprimere l’estro creativo di Sean che probabilmente, in quegli anni, aveva assunto la leadership indiscussa della cantina e una sicurezza tale della materia liquida da poter declinare in modo autarchico tutta la sua passione per il vitigno sangiovese. Chianti Classico 2010, Riecine di Riecine 2012 e 2014 sono tre vini seminali per quello che, oggi, è diventato un paradigma chiantigiano che l’enologo inglese ha contribuito a fondare.

 

Il Chianti Classico 2010 è semplicemente magistrale. Uno dei migliori vini assaggiati negli ultimi anni. Riesce a fondere il carattere territoriale dei Chianti Classico precedenti con l’energia fruttata espressa da La Gioia. È vino leggiadro e complesso con profumi delicati. Stupisce più o meno tutti per la sua grazia. Riecine di Riecine è frutto di una selezione di vecchie vigne di sangiovese; rappresenta, a mio avviso, la nuova idea di eccellenza enologica territoriale, un tempo affidata alla concentrazione della materia e ora nell’essenzialità dell’estrazione. Il 2012 è armonico, succoso e verticale con tannino serrato e ben integrato.

 

Il Riecine di Riecine 2014 è ancora qualcos’altro e non solo per la vendemmia difficile. Dice Sean «L’uve era bella, l’abbiamo colta tardi; ho soltanto provato a prolungare la macerazione per vedere il risultato»; il risultato ve lo dico io. È un passo avanti verso il difficile incrocio tra tipicità, eleganza e naturalezza espressiva; il tentativo riuscito di riportare in bottiglia il carattere più intimo dell’uva raccolta senza interferenze. La volatile presente è difforme rispetto alla regola enologica ma la bevuta rivela un’energia gustativa senza pari che riempie il palato di sapore genuino, quasi rustico e trascinante che costringe a tornare a bere.

 

L’annata 2014 non è stata imbottigliata da Sean che ha lasciato l’azienda l’anno successivo. Alessandro Campadelli interviene sorridendo «Ci ho sempre creduto in questo vino; e mi sono imposto per metterlo in bottiglia; il suo destino è stato abbastanza in bilico ma imbottigliarlo è stata una mia perentoria volontà». Queste parole mi fanno piacere perché provenienti da un giovane enologo che potrà dare futuro alla reale qualità dell’azienda. Durante la degustazione di questo vino qualcuno ha riferito che Carlo Ferrini, al suo arrivo in cantina dopo la partenza di Sean, abbia assaggiato i vini in affinamento dicendo “Pensavo foste messi male ma così tanto non me lo aspettavo “.  Una battuta, certamente, che evidenzia però due visioni enologiche agli antipodi: quella creativa con i rischi del caso e quella di consulenza volta ad azzerare gli imprevisti e forse l’originalità.

 

Le ultime tra annate rappresentano l’attualità dell’azienda. Il Chianti Classico Riserva 2015, La Gioia 2015 e il Chianti Classico 2016. Un presente che ha sicuramente molte certezze costituite da vigneti vocati, ottima pratica agronomica e uno stile coerente al passato glorioso che l’ha preceduto. Sui tre vini spicca il Chianti Classico 2016 che ha materia cristallina, aromi definiti e ricchezza di dettagli gustativi. Su queste annate recenti risulta un estratto glicerico che privilegia l’ampiezza alla dinamica ma sono vini comunque giovani. Forse tra 50 anni saremo qui ad assaggiarli di nuovo.

 

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Da Pubblicato il: 19 Febbraio 2021Categorie: Blog0 Comments

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